Condannato, ancora una volta, il Ministero dell’Interno per violazione della legge sulle vittime di mafia, in forza di erroneo parere dell’Avvocatura generale dello Stato.  

downloadIl Ministero dell’Interno ed il Comitato di Solidarietà per le Vittime continuano a disattendere la Legge 512/99 e, così facendo, subiscono un’altra sconfitta giudiziaria ed un’altra condanna da parte del Tribunale di Catania. Ancora una volta, il nostro studio ha dovuto assumere, con successo, la difesa di parenti di vittime di mafia non solo contro i criminali autori del delitto, ma anche contro lo Stato, per far si che il diritto di accedere ai benefici di legge previsti per le vittime venisse riconosciuto da un Ministero dell’Interno che, invece, fa di tutto per eludere la legge. Il Tribunale di Catania, Prima Sezione Civile, Giudice Cristiana Gaia Cosentino, con ordinanza di accoglimento totale del sette maggio scorso, comunicata l’otto maggio, ha dichiarato, previa disapplicazione della delibera Ministeriale, il diritto di accedere al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso in favore della ricorrente e ha condannato il Ministero al pagamento delle spese processuali. Il Tribunale ha ribadito il principio di diritto che, in tema di accesso al Fondo di Solidarietà, l’Amministrazione statale non si può arrogare alcun potere discrezionale, negare l’accesso in virtù di valutazioni di elementi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, o in forza di pareri dell’Avvocatura dello Stato che deroghino alla tassatività della legge. Ha ribadito altresì che gli aventi diritto al beneficio previsto dalla L.512/99 sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo.
Come detto in occasione di una precedente, analoga, sentenza, suona veramente provocatorio che lo Stato cerchi di non rispettare le proprie leggi ed i propri debiti, e si dimostri invece piuttosto arcigno e perentorio quando si tratta di esigerli dai comuni cittadini.
Eppure abbiamo dovuto assistere anche a questo e ricorrere all’intervento del Giudice civile per riportare nell’alveo della legalità il comportamento e le decisioni del Comitato di Solidarietà delle vittime della mafia, del racket e dell’usura. Siamo purtroppo in presenza di uno Stato che tradisce le aspettative di giustizia, dapprima non assicurando un generale sistema di sicurezza che impedisca alla criminalità di colpire a morte i cittadini e poi, negando quanto previsto dalla legge ai parenti di tali vittime, in forza di valutazioni discrezionali sulle frequentazioni e sulla condotta in vita degli uccisi.
Ancora una volta, abbiamo dovuto far ricorso alla giustizia civile per ottenere ciò che doveva essere riconosciuto come diritto già da diversi anni. Ma resta fortemente indicativo il comportamento di organi ministeriali che negano illegittimamente i diritti dei cittadini, e si tenga presente che si tratta di vittime della criminalità, che escogita pareri e strategie erronee ed illegittime per negare ciò che prevede la legge, che si ostina a perdere contenziosi, creando anche danni erariali alla collettività.
Per quanto ci riguarda, invece, resta la grande soddisfazione professionale di esserci opposti ad un’ingiustizia dell’apparato statale, di aver sconfitto le tesi giuridiche della Prefettura, dell’Avvocatura generale dello Stato, del Comitato di Solidarietà e dello stesso Ministero, di aver ottenuto ragione per le legittime aspettative di vittime di mafia. Insomma, di aver combattuto e vinto una bella battaglia per la legalità nelle sedi giudiziarie.
Strano però che, in uno Stato di diritto, la battaglia di legalità la debbano combattere i cittadini e gli avvocati contro segmenti dello Stato stesso.

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